Perché Dante fu esiliato da Firenze?

Dante Alighieri, oltre ad essere uno dei più famosi poeti e scrittori italiani, viene considerato anche come il padre della lingua italiana. La sua fama deriva principalmente da quella che è la sua opera più importante: la Divina Commedia. Ma nonostante tutto questo, perché Dante è stato esiliato da Firenze?


La situazione politica a Firenze al tempo di Dante

Dante non è stato solo un uomo di spicco a livello culturale, ma fu anche protagonista dello scenario politico fiorentino. Ma andiamo per gradi e cerchiamo di capire tutto partendo con una descrizione della situazione politica a Firenze alla sua epoca.

Nel 1300 a Firenze esistevano due partiti rivali: i Guelfi e i Ghibellini. I primi erano i sostenitori del Papa, che a quei tempi era Bonifacio VIII, mentre i secondi erano i sostenitori dell’Imperatore. A sua volta, però, gli stessi Guelfi erano divisi anche interiormente, c’erano i Guelfi bianchi e i Guelfi neri.

La divisione si creò quando si ebbero idee diverse su quale influenza avesse dovuto avere il papa nei confronti della politica fiorentina. Infatti, i neri ritenevano che il Papa dovesse avere un ruolo attivo nella politica di Firenze, mentre i bianchi erano contrari a questa sua influenza.

Arrivati a questo punto è lecito chiedersi con quale fazione fosse schierato il “padre della lingua italiana”. Quindi, Dante era un Guelfo o un Ghibellino? Era un Guelfo e proprio questo schieramento incide sul perché Dante viene esiliato da Firenze, la sua città natale.

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Dante Alighieri era un Guelfo bianco o nero?

Dante Alighieri era dichiaratamente schierato con i Guelfi bianchi e non lo nascose in nessuna occasione, neppure nei momenti peggiori. Di conseguenza, quando i Guelfi neri presero il comando della città, fu individuato subito come uno dei principali avversari da rendere inoffensivo, essendo uno dei più attivi tra le schiere dei bianchi. Così ebbe inizio la storia che portò all’esilio Dante.

Il promotore dell’attacco fu proprio Papa Bonifacio VIII, dopo essere venuto a conoscenza dell’astio che aveva nei suoi confronti Dante Alighieri. Perciò, in primo luogo, il poeta fu accusato di baratteria, che sarebbe il reato di corruzione odierno. Dopodiché gli si accostarono un’altra serie di reati come corruzione, estorsione e frode, oltre ad altri reati minori.

Tutto ciò comportò che Dante venne chiamato a comparire dinnanzi al tribunale per rispondere a queste accuse. In quel momento Dante si trovava a Roma come ambasciatore presso il Papa e, intuendo che non sarebbe riuscito a difendersi in tribunale, decise di non tornare nella sua città natale.

A questo punto il processo andò avanti senza la sua presenza e secondo gli statuti fiorentini dell’epoca, colui che non si presentava al processo, nonostante fosse stato più volte avvisato, veniva considerato come un imputato reo confesso, ossia un imputato che ammetteva implicitamente tutte le sue responsabilità.

Quindi, si procedette con una multa che comportava il pagamento di una determinata somma di fiorini entro tre giorni. Ma quando non veniva pagata questa multa, lo statuto concedeva al giudice la possibilità di tramutare la pena pecuniaria in una di carattere personale.

Quando viene esiliato Dante?

Al termine di questo lungo e disonesto processo, nel 1302, Dante Alighieri subì la condanna all’esilio da Firenze: “Alighieri Dante è condannato per baratteria, frode, falsità, dolo, malizia, inique pratiche estortive, proventi illeciti, pederastia, e lo si condanna a 5000 fiorini di multa, interdizione perpetua dai pubblici uffici, esilio perpetuo (in contumacia), e se lo si prende, al rogo, così che muoia“. La data dell’esilio di Dante fu precisamente il 10 marzo 1302.

Da quel momento in poi, il Sommo Poeta non mise più piede a Firenze, vivendo così il periodo più travagliato della sua vita. Tuttavia, quest’evento lo spinse fortemente verso lo scrivere la “Commedia”, ribattezzata più avanti “Divina Commedia” da Boccaccio. Tant’è vero che all’interno del capolavoro stesso, Dante trovò lo spazio per mostrare la sua amarezza per l’esilio subito descrivendolo così all’interno del quattordicesimo Canto del Paradiso: “Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale” (Paradiso, Canto XVII).

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